In un recente articolo sul New York Times, l’economista Paul Krugman ha toccato il tema della crescente preoccupazione sul piano umanitario per il forte rialzo dei prezzi del grano a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Prima della guerra, Russia e Ucraina erano i produttori di circa un quarto del grano mondiale, la maggior parte del quale destinato all’esportazione. Guerra e sanzioni hanno colpito quest’offerta, con effetti che saranno drammatici soprattutto sui paesi più poveri. Krugman ha anche ricordato che, nel corso della storia, per ben due volte il mondo divenne dipendente dal grano proveniente dalla regione a cui il Dipartimento dell’agricoltura statunitense fa riferimento con la sigla KRU (Kazakhstan, Russia and Ukraine). Dopo che la fertile regione fu colpita, tra il 1932 e 1933, dalla grande carestia prodotta dalla collettivizzazione stalinista del settore agrario, con la caduta dell’Impero sovietico essa poté finalmente tornare al suo primato nella produzione di grano per il libero mercato. Ma il momento in cui la KRU divenne il granaio del mondo risale alla prima fase della globalizzazione, iniziata nel XIX secolo, a seguito della rivoluzione dei trasporti. La città di Odessa, dove allora risiedevano un terzo degli ebrei dell’Impero russo, divenne non solo l’epicentro della raccolta del grano e della sua spedizione nel resto del mondo, ma anche una città simbolo della vivacità e dell’apertura culturale legata alla diversità etnica e religiosa: precisamente ciò che oggi odiano gli etno-nazionalisti russi.
Link all’articolo: https://www.nytimes.com/2022/03/22/opinion/ukraine-russia-odessa.html